In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2017, sia il Primo Presidente della Corte di Cassazione, sia il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Trieste avevano sottolineato le distorsioni del processo mediatico e la gravità del fenomeno delle costanti violazioni delle regole processuali, dei principi di riservatezza e verginità cognitiva dei giudici.
L’Unione delle Camere Penali Italiane si è adoperata in ogni modo per ricostruire il rapporto fra media e processo anche con l’istituzione un Osservatorio nazionale sull’informazione giudiziaria che ha prodotto, nel 2016, un Libro bianco.
La Camera penale di Trieste ha voluto attivare un Osservatorio locale sull’informazione giudiziaria. E’ stato pertanto monitorato nel corso del 2017 il quotidiano Il Piccolo. L’attenzione si è rivolta alle notizie di quei procedimenti ancora in fase di indagine o che si svolgono in udienze (convalide, udienze preliminari, abbreviati) che trattati in camera di consiglio (in udienze nelle quali sono presenti solo i magistrati, gli avvocati e le parti) dovrebbero garantire un’assoluta riservatezza.
Nel breve dossier che si produce si evidenzia come in moltissimi articoli non si sia fatto buon uso delle regole di bilanciamento tra l’interesse di informare e di essere informati e altri interessi – segretezza e riservatezza – che impongono un contenimento. In alcuni articoli, per fare un esempio, sono state rese note le generalità complete degli indagati, in assenza di qualsivoglia interesse pubblico alla loro diffusione (reati contro il patrimonio, reati sessuali, maltrattamenti in famiglia, modeste cessioni di stupefacenti).
L’analisi sistematica delle notizie diffuse sul quotidiano locale ha poi evidenziato un interessante mutamento dei contenuti della cronaca giudiziaria. Questa prestava in passato grande attenzione al giudizio – quindi alla pubblica udienza – per informare la comunità sullo svolgimento dei processi e sulle decisioni assunte dalla magistratura, valutando, con sereno approccio, quelli che venivano definiti “i casi della vita”. I giornalisti oggi sono attratti unicamente dalla fase delle indagini e dagli arresti che sono operati, ponendo alla gogna mediatica soggetti le cui responsabilità in molti casi verranno in futuro o escluse o totalmente ridimensionate, senza che si elida quel sospetto che nella pubblica opinione ormai si sarà formato. Un fenomeno aggravato dal permanere, per un lunghissimo periodo, della sola “prima notizia” sui media, rintracciabile attraverso i comuni motori di ricerca.
Questa prassi obbliga i difensori, in gran parte dei casi ignari degli elementi sui quali si fonda l’accusa nei confronti dei propri assistiti, a rilasciare dichiarazioni e pone i giudici in difficoltà nell’adozione di provvedimenti che, per la parzialità dell’informazione, possono sembrare al cittadino ingiustificati.
Tutte queste notizie causano una percezione del fenomeno criminale assolutamente in contrasto con la sua realtà, come ha sottolineato in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2018 il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trieste.
Lo scopo di questa rilevazione, che proseguirà nel corso del 2018, si badi, non è quella di “puntare il dito” su chicchessia, forze dell’ordine, pubblici ministeri, giudici, avvocati o giornalisti, quanto piuttosto di richiamare tutti coloro che svolgono questa pubblica funzione a farsi carico dei rispettivi doveri di segretezza e riservatezza a tutela dei sacrosanti diritti dei cittadini.
Si allega il dettaglio della ricerca